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MEANDRI DELL'EGO E VERITÀ

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Mt 11, 2-11

Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?" Gesú rispose: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me". Mentre questi se ne andavano, Gesú si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta al vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sí, vi dico, anche piú di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto:

Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te.

In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno piú grande di Giovanni il Battista; tuttavia il piú piccolo nel regno dei cieli è piú grande di lui.

*****

I rapporti tra i discepoli di Giovanni e quelli di Gesú non sembra fossero facili. Forse non tanto perché presentassero "progetti" troppo diversi, quanto per la necessità (egoica) di essere "piú importante" o, semplicemente, di "avere ragione". Per i primi, il Battista era "superiore" a Gesú, poiché era stato il suo maestro; per i secondi, Giovanni non era che il "precursore" del Messia.

La polemica, che si sarebbe prolungata per vari decenni, dovette essere di una portata tale che appare come sottofondo in tutti i vangeli, ogni volta che questo argomento viene affrontato.

Nel testo che leggiamo oggi, Matteo sembra voler mediare per "equilibrare" la discussione. Sebbene da un lato mostri Gesú quale Messia, facendo sí che Giovanni (i suoi discepoli) si domandi (si domandino) al riguardo, dall'altro dedica uno dei maggiori elogi alla figura del Battista.

Il tema del "dubbio" circa il messianismo di Gesú serve a Matteo per un duplice scopo. Da una parte, per presentare Giovanni che si interessa di Gesú in quanto il Messia atteso. Dall'altra, per insistere espressamente su ciò che caratterizzava il messianismo del maestro di Nazaret.

Appare indubbio che il comportamento di Gesú suscitò reazioni scandalizzate, soprattutto da parte dei giudei piú religiosi, cosí come da parte delle loro autorità. Di fronte a tali reazioni, Matteo rimanda ai fatti: "I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella". Con un'avvertenza significativa: "beato colui che non si scandalizza di me!"

La risposta di Gesú non contiene alcuna spiegazione o giustificazione verbale; non elabora neanche una teologia, ma, semplicemente, mostra un'azione liberatrice, al servizio della vita e delle persone.

L'allusione a coloro che se ne sentono delusi (scandalizzati) appare decisiva. È probabile che il motivo dello scandalo fosse proprio l'immagine di Dio che presentava Gesú. Una persona religiosa si sente facilmente delusa quando vede messe in questione le proprie credenze o la propria immagine di Dio. Con la migliore intenzione, e persino in buona fede, la persona religiosa arriva facilmente ad identificare Dio con il modo in cui lei lo comprende. Dovuto a questa identificazione -che si produce in modo inconscio-, è frequente che chi vede messe in discussione le proprie credenze giunga alla conclusione che chi le mette in discussione si trova per forza nell'errore.

Noi umani abbiamo una tendenza cosí spontanea come radicata che ci porta a credere ai nostri pensieri. Infatti questa è una delle maggiori cause di sofferenza: credere a ciò che pensiamo (cioè credere che ciò che pensiamo è vero).

Di fronte ad un tale inganno, mi sembra di percepire che si comincia a riconoscere che i pensieri non possono essere "veri", ma soltanto "etichette" che la nostra mente colloca sulla realtà. Detto con proprietà: i pensieri non sono che "punti di vista" che intendono puntare verso il Reale, verso la Verità, ma senza mai raggiungerla. Il saggio tailandese Ajahn Chah lo esprimeva in questo modo: "Avete un cumulo di punti di vista e di opinioni su ciò che è buono e su ciò che è cattivo, su ciò che è corretto e su ciò che è scorretto, su come dovrebbero essere le cose. Vi afferrate ai vostri punti di vista e ne soffrite molto. Ma sono solo punti di vista, sapete?"

La verità non può essere pensata; la si può soltanto vivere. Ed è solo allora, quando si è verità -non perché si pensi di possedere la verità-, che la si conosce.

Il racconto finisce, come accennavo sopra, con un infervorato elogio della figura del Battista, del quale si arriva a dire che è "piú di un profeta", "il piú grande tra i nati di donna". Di fatto, nei testi evangelici è facile avvertire una tendenza a "cristianizzare" Giovanni, il quale viene oggi venerato come santo dalla Chiesa.

Ma, da istruito, a Matteo interessa sottolineare la novità del Regno, che costituisce uno dei suoi temi preferiti: "Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20). Per questo, dopo l'elogio del Battista, si affretta ad aggiungere che "il piú piccolo nel regno dei cieli è piú grande di lui". Con queste parole egli vuole sottolineare l'inusitata novità del messaggio di Gesú.


Enrique Martínez Lozano

Traduzione: Teresa Albasini

www.enriquemartinezlozano.com

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