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DIO E CESARE: DA DOVE CI VIVIAMO?

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Mt 22,15-21

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?" Ma Gesú, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?" Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

·····

Pare che Gesú fosse un maestro nel disattivare domande capziose..., e nel mettere in evidenza coloro che macchinavano insidie con l'unica finalità di intrappolarlo.

È quello che accade in questo caso. Lo stesso quando lo interrogano sulla risurrezione, ricorrendo ad un'impostazione assurda (Mc 12,18-27); quando gli presentano una donna sorpresa in adulterio esigendo la sua condanna (Gv 8,1-11); o anche quando mettono in discussione l'autorità con cui agisce (Mt 21,23-27)...

Il dialogo autentico è possibile solo quando nasce dall'umiltà e dal rispetto dell'altro. Scaturisce da un atteggiamento di apertura e di gusto per la conoscenza, e apprezza l'apporto degli altri -pur se discrepante- come una ricchezza.

In assenza di questi atteggiamenti, il dialogo diventa impossibile. In questi casi, Gesú -consapevole del fatto che, dietro l'adulazione, c'è un'intenzionalità ingannevole- opta per mostrare l'inadeguatezza dell'atteggiamento e della domanda stessa. E lo fa con trovate ingegnose, che portano in sé implicito un carico di profondità.

Nel caso presente, si tratta di una questione particolarmente sensibile al popolo dominato dall'Impero romano e sottoposto ad una gravosa pressione impositiva.

Per cominciare, Gesú mostra l'incoerenza di coloro che gli chiedono di pronunciarsi. I farisei, contrari all'esercito di occupazione e zelanti annunciatori dell'unica autorità divina, usano monete pagane e, per un giudeo devoto, idolatriche. Infatti la moneta recava, sul diritto, l'immagine di Cesare Tiberio ornato con la ghirlanda di alloro che indicava la dignità divina, con questa iscrizione: "Tiberio Cesare Augusto, figlio del divino Augusto". E, sul rovescio, figurava la legenda "Pontefice Massimo" e la figura della madre dell'imperatore seduta su un trono di dèi.

Ma Gesú non solo smaschera l'incoerenza di coloro che gli tendono l'insidia, ma introduce un'affermazione carica di conseguenze, che trascende assolutamente "l'aneddoto" del dibattito: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".

Contro l'interpretazione abituale, fatta a partire da un letteralismo ingannevole, non si tratta di stabilire una separazione dualistica tra due ambiti presuntamente scontrati. Una tale lettura distorce la realtà e conduce, tra l'altro, a uno spiritualismo disincarnato.

Non è questione di realtà separate, ma di livelli di profondità. Forse si potrebbe esprimere in questo modo: "Togliete a Cesare quello che è di Dio". Con questa espressione, si punterebbe verso la direzione adeguata. Poiché quello che fa la risposta di Gesú è disattivare completamente ogni assolutismo politico, ogni assolutizzazione del potere.

Non si tratta di riservare "la sfera spirituale" a Dio e lasciare che della "sfera materiale" si occupi Cesare. Perché tale separazione tra i due ambiti non esiste che nella nostra testa. Si tratta di riconoscere che solo quello che è transpersonale è assoluto; quello che è personale (egoico), compreso il potere, è sempre relativo e il suo unico senso sta nel diventare un servizio alle persone.

Nessuno e niente può arrogarsi un potere assoluto. Solo Dio è Dio. La parola di Gesú, pertanto, mira nientemeno che a un modo di viversi; o, piú precisamente, mette in discussione il fatto del da dove ci viviamo: dal livello del relativo (Cesare) o dal livello profondo (Dio)?

Lo spirituale non è l'opposto del materiale. Perché non c'entra con il che, ma con il da dove. Non esistono cose che sarebbero "spirituali" (pregare, sacrificarsi, servire...), di fronte ad altre che non lo sarebbero (ridere, giocare, divertirsi, lavorare...). Tutto è spirituale..., purché lo viviamo a partire dalla nostra vera identità, vale a dire, da quel "luogo" in cui ci riconosciamo uno con tutto ciò che è.

Per dirlo brevemente: bene inteso, si potrebbe dire che non si tratta di scegliere -di un modo dualistico- tra "Dio" o Cesare", ma di vivere tutto ciò che è di "Cesare" a partire da "Dio".

 

Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini
www.enriquemartinezlozano.com

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