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QUALI SONO I MIEI INTERESSI?

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Mc 9, 30-37

Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà.” Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?” Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il piú grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti.” E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.”

*****

Nel vangelo di Marco si sottolinea il contrasto fra l'atteggiamento di Gesú, caratterizzato dall' “offrirsi”, e quello dei suoi discepoli, segnato dall'ambizione.

È appunto questa posizione diametralmente opposta quello che spiega perché “non comprendevano niente e avevano timore di chiedergli spiegazioni”.

Non vediamo le cose come sono; vediamo le cose come siamo. È risaputo che sono i nostri “interessi” quelli che spiegano, sia l'incapacità per vedere le cose in un altro modo, sia le paure che ci paralizzano.

Sono gli interessi che nascono dalla nostra identificazione con l'ego: pensando che siamo questo, non possiamo vivere che per l'ego. È quello che le tradizioni sapienziali hanno chiamato “ignoranza”, e che spiega quei comportamenti che ci fanno del male o provocano dolore ad altri. Tutto ciò è conseguenza di quell'ignoranza basilare, che ci impedisce di “vedere” o di comprendere com'è la realtà, e che ci tiene sommersi nella paura.

Gli “interessi” dell'ego, che condizioneranno irrimediabilmente la nostra esistenza finché perduri la nostra identificazione con questo, sono meccanismi difensivi, attraverso i  quali lo stesso io vuole consolidarsi, inseguendo una sicurezza che sente come imprescindibile, ma che, paradossalmente, non si trova mai alla sua portata.

Una volta che la mente etichetta ciò che percepisce e sente come “favorevole” o come “spiacevole”, si instaura nella persona una dinamica retta dalla “legge dell'attaccamento e dell'avversione”. Sia nell'afferrarsi a qualcosa che nel respingerlo, l'io non fa altro che inseguire i propri “interessi”. Qualunque siano le mie credenze, finché duri l'identificazione con l'io -la credenza che l'io è la mia identità-, i miei interessi saranno inevitabilmente egocentrati, girando permanentemente intorno al proprio ego.

Ancor di piú, finché rimarrà nell'identificazione, la persona non potrà avvertire che la frustrazione è radicata nell'errore d'origine: l'avere confuso la propria identità con l'io per il quale si vive.

Questa ignoranza radicale la mantiene in un vicolo senza uscita: non può smettere di vivere per l'io, ma ad ogni passo percepisce l'inutilità e persino vacuità del suo intento, nel verificare l'impermanenza di tutto ciò a cui si afferra e l'inevitabile delusione, che può portarla a lamentarsi, cosí come fa Qoèlet, nel libro dell'Ecclesiaste: ”Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole? … Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà... Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l'occhio di guardare né mai l'orecchio è sazio di udire. Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto il sole” (Eccle 1,2-9).

Comunque, siano benvenute la frustrazione, la delusione o la crisi se svolgono il ruolo di aiutarci a “risvegliarci” e uscire da quell'ignoranza di base, che confonde tutta la nostra percezione e alimenta le nostre paure.

Solo la nuova comprensione di chi siamo renderà possibile che possiamo liberarci dalla schiavitù degli “interessi” dell'io che prima ci dominavano.

 

Enrique Martínez Lozano

www.enriquemartinezlozano.com

Traduzione: Teresa Albasini

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