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IL NON-LUOGO DEL RIPOSO

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Mc 6, 30-34

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesú e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'." Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano piú neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.

Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

•••••

Prendendo spunto dall'invito che Gesú rivolge ai discepoli, il termine "riposo" evoca in me un contenuto che trascende quello che di solito intendiamo come tale.

Possiamo certamente cercare un "luogo" ed un "tempo" in cui riposare e riprendere le forze. Ma questo "luogo" del riposo esiste solamente in rapporto al "luogo" della stanchezza: sono i due poli inevitabili nel mondo delle forme, in tutto ciò che avviene entro le coordinate spazio-temporali.

A causa di questo carattere polare della realtà manifesta, ogni volta che qualcuno cerca di afferrarsi a qualcosa proverà frustrazione, perché quel "qualcosa" per lui desiderabile non può esserci senza il suo contrario. Piacere e dolore, gioia e tristezza, gusto e disgusto, salute e malattia, amore e disamore, riposo e stanchezza... Tutto è variabile e impermanente. Cercare la sicurezza in ciò che è impermanente non produrrà che sofferenza e insoddisfazione.

Tutti abbiamo comunque l'esperienza della tendenza "spontanea" che ci porta ad identificarci con il "piacevole" e a rifiutare quello che è "spiacevole". È questo il modo in cui funziona la nostra mente: etichetta, come "positiva" o "negativa", qualunque cosa accada, e agisce di conseguenza. È la stessa cosa che si suole esprimere con queste parole: l'io funziona secondo la legge dell'attaccamento e dell'avversione.

Finché, però, agiremo secondo questa tendenza, non riusciremo ad uscire dallo stato di frustrazione. Rimarremo legati ai viavai incessanti della realtà polare, in cui il piacere comporta il dolore, e il gusto contiene il disgusto.

È questo, in definitiva, il motivo che spiega la verità contenuta in quella saggia riflessione di George Bernard Shaw: "Ci sono due catastrofi nell'esistenza: la prima, quando i nostri desideri non sono esauditi; la seconda, quando lo sono."

Per dirla nei termini che danno titolo a questo commento: la legge dell'attaccamento e dell'avversione, che ci mantiene sul filo stesso del viavai inevitabile, fa sí che il vero riposo sia impossibile. Come dice Vicente Simón, in una sua poesia ancora inedita,

"il piacere -se qualcuno non lo sapesse-

è qualcosa che si vuole ripetere;

il dispiacere è qualcosa

che si cerca di evitare...

Quando non desideri il piacere

né detesti il dispiacere,

ciò si chiama libertà."

 

È il cammino della sapienza, che si plasma nella non-identificazione e nella non-appropriazione. E che ci conduce ad un'attitudine di distacco, disappropriazione e libertà.

In fin dei conti, si tratta della sapienza che ci fa vedere, e ci libera dall'inganno originario che consiste nel ridurci ad un oggetto di qualsiasi tipo: pensiero, sensazione, emozione, sentimento, desiderio... Ce ne libera perché fa sí che ci rendiamo conto che la nostra vera identità non si mostra nel mondo degli "oggetti", cioè non è confinata in nessun "luogo" né in nessun "tempo". La nostra identità è illimitata, atemporale e a-spaziale. E finché non lo percepiremo cosí, rimarremo prigionieri nel sogno dell'incoscienza, l'ignoranza, la confusione e la sofferenza.

La nostra identità non può essere né delimitata né pensata; non si può oggettivare, dato che tutto quello che possiamo pensare non è altro che "oggetti" che non sono in grado di imprigionare la Coscienza (soggetto) che percepiamo di essere in una maniera immediata e autoevidente.

La nostra identità, dunque, non si può circoscrivere in un luogo. Si trova nel Non-luogo che trascende il mondo delle forme e dei pensieri. E questo è anche il Non-luogo del Riposo al quale Gesú ci invita.

È chiaro che chi disse: "Io e il Padre siamo una cosa sola" abitava in questo Non-luogo, poiché solo qui è possibile percepire la bellezza della non-dualità.

In questo Non-luogo, la polarità inevitabile del mondo delle forme si trascende nell'ammirabile non-dualità, quale abbraccio che integra ogni cosa. Si sperimenta allora un Riposo che non è spezzato dalla "stanchezza", una Gioia che non è appannata dalla tristezza, una Vita che non è minacciata dalla morte.

È la nostra identità. Ma per accedervi occorre disfare l'inganno che fa sí che ci identifichiamo con il mondo degli oggetti (materiali, mentali od emozionali). Quando l'inganno cade, si rivela il Non-luogo nel quale tutte le cose coincidono. È Riposo, è Felicità, è Dio...

Con un sentimento di profonda gratitudine verso di lui, vorrei concludere questo commento trascrivendo una bella poesia di Vicente Simón, che raccoglie in un modo veramente bello tutto ciò che ho tentato di balbettare in queste righe (www.mindfulnessvicentesimon.com)

 

COME SONO FELICE!

 

Come sono felice quando solo sono!

Come sono felice solo essendo!

Essendo semplicemente qui,

sentendo la vita nel mio corpo.

Sentendo che vivo e respiro,

che sento.

Che posso pensare.

Che non penso.

Accorgendomi che vedo,

anche se guardo e non voglio vedere

niente di speciale né di concreto.

Perché tutto è bene.

Tutto è bene, tutto è buono.

Sentendo il mio corpo

e lo spazio che occupa.

E che posso muovermi,

anche se sono proprio fermo.

E ascoltando il brulicare delle cose:

i loro affanni e sospiri, il loro sfiorarsi,

i loro silenzi, i loro strepiti,

i loro segni di vita, il loro chiasso.

Ed io sono sempre qui.

A mio agio, contento.

Senza affanno, senza impegno.

Senza rancore, senza lamento.

Senza attesa né desiderio,

né angoscia, né tedio.

Sono sempre qui.

Essendo, essendo.

Come sono felice, solo essendo!

 

 Enrique Martínez Lozano

Traducción de Teresa Albasini

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