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OLTRE LA MENTE

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Gv 06, 60-69

La mente tende a rifiutare, dapprincipio, tutto ciò che è fuori dei suoi parametri. E quando si stabilisce la mente come criterio ultimo di verità, come è avvenuto tra noi a partire dalla modernità, la scienza sfocia nello scientismo.

In un recente dibattito radiofonico, tre partecipanti che si autodenominavano "scienziati" aborrivano da tutto ciò che, venisse da dove venisse, non fosse "scientificamente dimostrato". Uno di loro arrivò ad affermare che "la psicoanalisi è una frottola" e che, in ogni caso, "diventa urgente il rifiutare assolutamente tutto ciò che non passi il filtro scientifico".

Indubbiamente esistono degli imbroglioni che, al fine di ottenere un beneficio economico, e grazie alla credulità della gente, tentano di far passare come verità ciò che non è che un inganno. È altrettanto vero che non si può rinunciare alla ragione critica, se non si vuole cadere nell'irrazionalità. Ma di qui a stabilire la scienza come criterio ultimo di verità c'è un salto, non solo inaccettabile ma anche profondamente nocivo.

Quando questo salto è stato fatto si è caduti nello scientismo, il razionalismo, il positivismo, il materialismo... E la scienza si è trasformata in una pseudo-religione, con i suoi dogmi, i suoi riti, i suoi altari ed i suoi guru. E, come succede nelle religioni, tutto ciò rimaneva in salvo, evitando che si potesse mettere in discussione poiché appariva rivestito dell'aureola sacra della verità: "è parola di Dio" era stato sostituito con "lo dice la scienza".

I dogmi di questa nuova religione sono molto semplici e, come succede con ogni dogma, vengono creduti a priori, senza sottoporli ad alcun tipo di critica. I piú basici sono i seguenti:

· La scienza è l'unica verità, e fuori della scienza non c'è verità (salvezza).

· Il modo supremo (o addirittura unico) di conoscenza è la ragione.

· Esiste soltanto quello che la scienza può verificare; tutto il resto sono superstizioni.

Per i "fedeli" di questa nuova religione, si tratta di "evidenze", e guardano con disdegno chi osi metterle in dubbio. Per coloro che sono capaci di prenderne le distanze, è chiaro che tali affermazioni non sono scientifiche, ma dei postulati metafisici, cioè, delle credenze impossibili da falsificare (e quindi da dimostrare). Sono, semplicemente, delle credenze pseudoscientifiche sostenute -in una paradossale ironia- da quegli stessi partecipanti al dibattito che aborrivano da tutto ciò che fosse pseudoscientifico.

I postulati basici del materialismo (e dello scientismo) sono delle credenze metafisiche assolutamente indimostrabili e pericolosamente riduttive. In nome di che cosa si può sostenere che esiste solo quello che può essere verificato "scientificamente"? Chi decide i limiti del reale? Che fondamento ha l'affermazione che dice che la ragione è il modo supremo di conoscenza? Su che cosa poggia l'arroganza di affermare che fuori della scienza non c'è verità?

È inoltre significativo il fatto che lo scientismo (o materialismo scientifico) sia già stato messo in discussione dalla stessa scienza: le scoperte incontestabili della fisica quantistica -che per molti scienziati sembrano sconosciute- hanno fatto saltare in aria i vecchi dogmi positivisti, aprendoci ad una percezione radicalmente differente e "aperta" alla realtà.

Il modello razionale di cognizione (mentale, duale, cartesiano) funziona ammirabilmente nel mondo degli oggetti, ma è incapace di andare oltre; quando ci prova non fa che oggettivare tutta la realtà, riducendo e impoverendo la nostra percezione.

Esiste un altro modo di conoscere (non-duale), che ci mette direttamente in contatto con quella dimensione del reale che sfugge alla ragione e alla scienza. Questo è il terreno della spiritualità; e la capacità di addentrarsi in esso sta cominciando ad essere conosciuta come "intelligenza spirituale". (A chi fosse interessato a questo argomento, posso suggerire la lettura di ciò che ho scritto nel libro appena pubblicato dalla casa editrice PPC: "Vida en plenitud. Apuntes para una espiritualidad transreligiosa").

Quando si dimentica questa dimensione, si produce un'amputazione grave nell'essere umano, con delle conseguenze che impoveriscono estremamente la vita delle persone, che cosí vengono condannate ad una sensazione di vuoto e nichilismo. È quello che è avvenuto, in parte, nel nostro ambito culturale: sebbene la scienza abbia favorito uno sviluppo materiale inimmaginabile, lo scientismo ha impoverito l'esperienza umana fino a limiti insostenibili.

Tutta questa introduzione può servire per contestualizzare il racconto evangelico che oggi leggiamo. Gesú è l'uomo saggio, che "ha visto" piú in là della mente. A partire da questa esperienza, percepisce sé stesso come non-separato da Dio, dagli altri e da tutta la realtà. Come abbiamo già analizzato nei commenti delle settimane precedenti, Gesú sa che "io e il Padre siamo una cosa sola" e che, pertanto, "questo (tutto) sono io". E sa anche che questa comprensione è vita, alimento, pienezza: il "Regno di Dio".

Ma i suoi discepoli non "vedono". E, dalla sua loro stretta lettura mentale, si mettono a fare congetture su "come può costui darci la sua carne da mangiare". Sono rimasti nella materialità delle parole e non sono in grado di coglierne il senso profondo.

In effetti, per la mente, Gesú può addirittura essere un "Dio" venuto "da fuori"; lo si può trasformare in "oggetto di culto" e si può perfino credere che il suo corpo è fisicamente presente nel pane consacrato... Ma tutte queste "credenze" non hanno ancora colto la verità profonda delle sue parole, che puntano all'Unità del Reale, come lui lo percepisce e lo vive.

Il racconto si chiude con le parole di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio."

Pietro (il credente) ancora non ha "visto". Ma, di fronte all'abbandono di altri discepoli sconcertati, che ritenevano "inaccettabile" il messaggio di Gesú, si sente "toccato" dalla persona e dalla parola del suo maestro. L'una e l'altra trovano "un'eco" nel suo interno. E quello che fa è fidarsi di questa "risonanza" interna. In questo modo, dimostra un atteggiamento che sembra quello adeguato.

Anche quando non si è ancora "visto", se siamo capaci di far tacere le nostre idee e credenze -di qualsiasi tipo esse siano-, diventeremo man mano capaci di ascoltare "un'altra voce", che sicuramente ci aprirà la strada verso la verità. È la voce del nostro "maestro interiore", che ha "parole di vita eterna". Poiché questo "maestro" non è altro che lo Spirito o la Sapienza che ci costituisce come la nostra identità ultima, e che si esprime in tutto. È la Sapienza che parla nelle labbra di Gesú di Nazaret, e che risveglia l'attenzione e l'interesse di Pietro.

E tutto ciò non sarà il risultato del nostro sforzo volontaristico, ma lo percepiremo come Dono o Grazia: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio." Il "Padre" -la Fonte della Sapienza o la Sapienza stessa- non lo nega a nessuno -è il puro Donarsi e esprimersi-, ma si richiede un atteggiamento aperto, ricettivo, accogliente...

 

Enrique Martínez Lozano

Traducción de Teresa Albasini

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