QUANDO SI PRESENTA L'ANGOSCIA
Enrique Martínez LozanoGv 12, 20-33
Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesú". Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesú. Gesú rispose: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome." Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!"
La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato". Rispose Gesú: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me." Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.
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Questo discorso di Gesú contiene una profondità spirituale impressionante. Accenna a quello che occorre per poter vedere esaudito il desiderio che alita nei nostri cuori, e per questo costituisce una parola di saggezza che vuole aiutarci a risvegliarci.
Ciò che fa è raccogliere, in maniera vibrante, il senso che Gesú dà alla sua vita e alla sua morte, in una sola parola: offerta di sé. Sarà lo stesso significato che i sinottici raccoglieranno nel racconto dell'"ultima cena": "questo sono io che si offre".
Giovanni lo fa secondo il suo stile e in un contesto che sembra essere parallelo a quello della "preghiera del Getsèmani", cosí come viene narrata dai sinottici (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46) e che non è menzionata nel quarto vangelo. Ma, in tutti i casi, Gesú appare abbattuto sotto il peso dell'angoscia.
Per cominciare, si dice che vedranno Gesú glorificato. Sappiamo già che, per questo vangelo, la glorificazione ha luogo sulla croce. Perché, per lui, la croce significa l'espressione massima dell'amore di Dio al mondo ("Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito": Gv 3,16).
La croce è trionfo perché -nell'interpretazione che ne fa Giovanni- è la prova definitiva sia dell'amore del Padre sia del fatto che Gesú ha portato fino alla fine il disegno divino: manifestare il suo amore all'essere umano. Il Gesú glorificato è, dunque, il crocifisso. Ma quest'affermazione racchiude ancora piú saggezza, che lo stesso evangelista continua a sminuzzare con le parole che pronuncia Gesú, nell'immagine del chicco di grano.
Tuttavia, niente di ciò gli impedisce di sperimentare il turbamento: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora?" Eppure la capacità di risituarsi è quasi immediata: "Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". L'io continua ad essere soggetto di angoscia, ma basta entrare in sintonia con chi siamo perché si produca l'accettazione.
Siamo in preda all'abbattimento e all'angoscia allorquando, per il motivo che sia, restiamo presi da qualcosa che accade e che ci commuove nel nostro interno. Il detonante può essere qualunque cosa, e l'intensità di quello che si risveglia dipende da diversi fattori: dalla fragilità del soggetto ai condizionamenti propri della psicobiografia di ciascuno di noi.
Certe volte non possiamo evitare che sorgano determinati sentimenti o emozioni: non dipendono dalla nostra volontà. Ma è forse possibile sviluppare la capacità di non restare a lungo alla loro mercé.
E questo lo si riesce a fare nella misura in cui, accettando ciò che si è risvegliato, non ci riduciamo a questo; quando siamo capaci di passare da "quel che accade" alla "coscienza di quel che accade", il che diventa possibile nella misura in cui abbiamo sviluppato la capacità di riconoscerci nella coscienza che siamo, che è in salvo dai viavai mentali ed emozionali.
Diventa allora possibile l'accettazione e la resa completa, partendo da un atteggiamento lucido e umile che si lascia fluire con la corrente saggia della vita. Questa resa a ciò che è diviene fonte di pace e di adeguamento.
Non ci può essere pace stabile se non siamo allineati con il momento presente, se non amiamo ciò che è. Quando si ama ciò che è, nulla può inquietare. Come diceva Krishnamurti, il segreto della mia pace è che "non mi importa quel che succeda".
Ma questo si può dire solamente quando si è superata l'identificazione con l'io. L'io è presente solo in quello che succede, e ne è anche vittima; al contrario, la coscienza di quello che succede è, proprio perché è accettazione, sempre fonte inesauribile di pace e di gioia. Questo è il nostro nome piú profondo: Coscienza, Pace e Gioia.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini