LA COMPRENSIONE CHE TRASFORMA RADICALMENTE
Enrique Martínez LozanoMt 5, 1-12
Vedendo le folle, Gesú salí sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
“Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
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Matteo trasforma la proclamazione delle Beatitudini in otto atteggiamenti ovvero scelte di vita che sono fonte di beatitudine e di libertà.
Agli occhi della cultura dominante -e dell'ego, che funziona in questa-, sembrano un nonsenso, poiché si scontrano frontalmente con il modo di funzionare dell'io, che insegue obiettivi radicalmente opposti.
La prima cosa che spicca, dunque, in questa proclamazione è il carattere paradossale della felicità che annunciano. Qui si vede come beatitudine ciò che per l'io è disgrazia. Dov'è la chiave?
Diciamo anzitutto che la lettura adeguata non è quella dolorista, che esalta il dolore come qualcosa di buono in sé stesso, oppure assolutizza il sacrificio e la rinuncia.
È un messaggio di saggezza, incorniciato in quel principio basilare di Gesú, secondo il quale l'interesse per salvare l'io equivale, in realtà, a perdere la vita.
L'essere umano non può negare la sua sete di felicità e di pienezza. Ma l'errore consiste nel fatto che, credendo che siamo l'io particolare, le cerchiamo come se fossero degli “oggetti” e ce le appropriamo. E invece, paradossalmente, è l'appropriazione quello che ci schiavizza, introducendoci in una noria edonistica che comincia e finisce con la frustrazione.
Partendo dalla sensazione di carenza iniziale, vogliamo appropriarci di una cosa che crediamo che ci renderà felici..., e sfociamo nella frustrazione. Perché l'ego è incapace di felicità e di pienezza. Vivere per lui significa sprofondare sempre piú nel vuoto.
La felicità e la pienezza non sono “qualcosa”, eppure sono ciò che siamo. L'ego non può pretendere di essere felice -nel suo regno, tutto è impermanente e addirittura fittizio, come lui stesso-; tuttavia, non appena si toglie di mezzo, emerge la pienezza che siamo.
E cosa vive la persona, quando “ha tolto” di mezzo il suo ego? Questi sono gli atteggiamenti che Matteo elenca nelle sue Beatitudini.
Bene inteso, bisognerebbe dire che non è felice la persona perché viva questi atteggiamenti, ma piuttosto che li vive perché è felice, vale a dire, perché ha scoperto la sua verità piú profonda.
Chi vive in sintonia con la sua verità, sceglie di essere povero, è capace di assumere il dolore ed il pianto, cerca la giustizia, vive la compassione, ha un cuore puro, è un operatore di pace e, pur senza cercarlo, in un modo o nell'altro sarà “perseguitato”.
Matteo quindi ci offre un “modo di vivere” che apprezziamo nelle persone sagge, quelle che hanno scoperto che la pienezza e la felicità non sono “qualcosa” da possedere, ma la nostra vera natura. Questa è la comprensione che modifica tutta l'esistenza.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini